1954 - Le cifre della catastrofe 253 morti e 105 dispersi

31 Ottobre 1954 - Il dramma di Stio, il "paese che cammina" - Il piccolo centro sta franando da anni, le case sono lesionate, ma nella tragica notte nessuna vittima.

                          (Dal nostro inviato speciale)
                                   Stio, 30 ottobre.

   Il numero dei morti, finora accertato ufficialmente, è salito a 263. Tante salme sono state ricuperate tra il fango, le macerie e nel mare. I dispersi sono 105, la maggior parte dei quali a Marina di Vietri. I morti sono: 113 a Salerno, di cui 87 identificati; 47 a Vietri, con 70 dispersi; 84 a Cava, con 21 dispersi; 31 a Maiori, con 14 dispersi; 25 a Tramonti; 3 a Minori.
   Nello spaventoso cataclisma, si è salvata soltanto la popolazione di Stio, <<Il paese che cammina>>. Da alcuni anni, per un franamento permanente negli abitati improvvidamente edificati su terreno argilloso, tutte le case di Stio si stanno aprendo e spaccando, si sgretolano, e lentamente, inesorabilmente, scivolano verso la valle dell'Alento, il fiume che scorre alle falde degli aspri monti del Cilento. E' questo un fenomeno in cui è riassunto uno dei più gravi, se non il massimo dei problemi del nostro Paese. Al Servizio Geologico delle Miniere del Ministero dell'Industria, è documentato il dramma delle terre che crollano. Secondo i calcoli ufficiali, i paesi le cui case devono essere consolidate, sono 814 e 182 quelli per i quali il Genio Civile ha sentenziato, come unico rimedio, l'integrale trasferimento delle popolazioni perchè nessuna opera può più essere utilmente eseguita.
   Eppure, nonostante che le case di Stio abbiano la resistenza di un foglio di velina, si sono avuti durante il nubifragio altri squarci e più gravi nelle mura, ma di vittime non ve ne è stata neanche una. Certo, sé si potesse misurare con un apparecchio l'intensità del terrore nella notte del 25, si vedrebbe che, nella provincia di Salerno, è a Stio che il termometro della paura ha segnato il massimo livello.
   Infatti a Salerno, Vietri, Maiori, Minori, Tramonti e Cava la sciagura si è abbattuta improvvisa, e quindi la maggior parte delle vittime è passata, inconsapevolmente dal sonno alla morte, ma in questo paesetto, ove la gente vive con l'occhio attento e l'orecchio teso a ogni movimento e scricchiolio, si può ben comprendere quale ondata di panico abbia tormentato i tremila abitanti. Dopo quella furia di vento e d'acqua su un picco franoso, fra case tremolanti, essi si considerano oggi, rimasti incolumi, viventi testimonianze di un prodigio della Misericordia Divina.
   Nel dirigerci a Stio, che è a un centinaio di chilometri dopo Salerno, al confine della Lucania, sostiamo un istante a Molina, nel comune di Vietri, per vedere una scimmietta, Cita. E' il portafortuna della famiglia del signor Michele Amendola, composta, inoltre, della moglie Maria e dei figli Alma, Ada, Franco sottotenente di fanteria e Maria Pia che, in questa estate, vinse il concorso per il titolo della «più bella italiana del Sud». La scimmietta, con la strana, misteriosa sensibilità che spesso le bestie rivelano quando stanno per avvenire catastrofi naturali come uragani e terremoti, quella sera era irrequieta, nervosissima. Nella notte si svegliò, saltò sul letto dei suoi padroni, premette il bottone delle lampade, poi corse nelle stanze dove dormivano i giovani, tirò le coperte, insomma tanto fece che interruppe il sonno di tutti. E fu così che gli Amendola videro il tumultuare minaccioso del torrente Bonea, si levarono, intuirono il dramma che stava per accadere e in gran fretta uscirono, salendo in casa del signor Arnaldo Criscuolo, i cui figlioli sono fidanzati delle signorine Amendola. Adesso il comitato di Molina, sorto per l'alluvione e presieduto da Don Alceste Miranda, parroco di <<Santa Maria la Neve>>, ha deciso di ricordare con una piccola lapide il gesto della scimmietta, perchè quanti maltrattano le bestie siano con esse più umani.
   La via per Stio tocca Capaccio, gira per Trentinara, sale a Monteforte Cilento e, dopo le case di Capizzo, una borgata di Magliano Vetere, giunge al paese, alto quasi mille metri, sotto il monte Lènola.
   Stio, entrandovi, si presenta come uno dei tanti paesetti del Mezzogiorno, lontani da ferrovie e strade di grande comunicazione. Sindaco è un assai noto chirurgo, che abitualmente vive a Napoli, il prof. Raffaele Lettieri, fino all'ultima legislatura deputato democristiano.
   La frana che sta distruggendo l'abitato, ha particolarmente inciso nelle case della parte bassa, la frazione Gorga. Perciò poiché quelli di Gorga vedono ancora intatte le abitazioni di sopra, ne è nata quasi una rivalità e, inoltre, una certa tendenza autonomistica.
   Chiedo a un vecchio, Vito Santangelo, da quanto tempo v'è la frana. Risponde: <<Da tanto>>. Mi mostran poi le case lesionate, con lunghe, profonde ferite, come lebbra nelle pietre. E mi dicono i nomi delle famiglie che hanno dovuto lasciarle: Prinzo, Infante, D'Angelo, Liguorl, Ippolito, Carozza e tante altre. Quella di Sabato Cortazzo, con diciotto figli, fece appena in tempo ad uscire, la sera del 31 gennaio.
   Stavolta, quando è venuto l'uragano, tutti si sono riversati nella galleria dove è il Santuario della Madonna della Sanità. E l'indomani, come per un prodigio, le case erano in piedi.
   Ora però i funzionari del Genio Civile hanno rifatto un controllo, confermando che il paese è in gran parte da abbandonare.
                       Crescenzo Guarino

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Fonte:

LA STAMPA Archivio Storico dal 1867 - Giornale LA NUOVA STAMPA, Domenica 31 Ottobre 1954

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