1954 - Trentinara in Paesaggi Salernitani

Trentinara raccontato e descritto da Pietro Visconti nel libro "Paesaggi Salernitani" edizione del 1954.

   Più in là di Capaccio nuova nella quale rivisse l’antica, nella terrazza terminale del Monte Cantenna (o Cathèna) è appollaiato il paese di Trentinara, anch’esso antichissimo, divenuto poi famoso durante la rivoluzione cilentana del luglio 1848, che ebbe colà il suo sanguinoso epilogo, per cui dev’essere segnato a lettere d’oro nella storia del Risorgimento, come ha dimostrato esaurientemente in un suo appassionato studio il mio amico Dr. Enrico Cavallo, troppo presto rapito all’affetto della famiglia e degli amici, nonché alle sue accurate ricerche con le quali veniva illustrando agli stessi suoi compaesani la storia del suo paese natale.
   Trentinara si erge a 700 metri di altitudine, e sembra quasi proiettata nel vuoto su quella mensola di roccia. Chi vuole avere la impressione di volare in aereo avendo i piedi ben saldi sul terreno, anzi sulla roccia, deve venire quassù, e fermarsi in qualche punto donde si possa vedere il sottostante paesaggio.
   V’è anche una spianata dove è stata costruita una piazza — mi pare piazza Panorama — donde si domina il golfo di Salerno, la vasta piana di Capaccio e di Pesto (Paestum), i monti del Cilento, e al di sotto, quasi a picco, l’abisso boscoso di Tramonti (o Tremonti): un bello orrido eccezionale! Mi dicono che laggiù si trovi una grotta — una delle mille grotte del Salernitano — ancora inesplorata, che si inoltra nelle viscere del Monte Sottano. I poeti locali (il popolo è sempre poeta, e gode un perenne stato di grazia fantastica!) assicurano che essa vada a ricongiungersi con le grotte di Castelcivita. Ed io penso che un giorno — chi sa! — i nostri posteri avranno l’opportunità a noi negata di fare un giro per la provincia attraverso le sue vie sotterranee!...
   Sul ciglio più alto del monte Soprano, che è il dirimpettaio del Cantenna, e che dalla parte nord guarda le spalle di Trentinara, s’apre un’angusta voragine, che si sprofonda anch’essa nelle viscere della terra. Se si lancia un sasso in quella voragine, se ne sente il rimbombo nell’abisso. Tutti quelli che si recano colassù da secoli, fanno questo esperimento: tanto vero che per un vasto raggio all’intorno, in quei paraggi, non si trova più una pietra. Ed è il colmo, per una montagna che è tutta pietre! Se poi ti avvicini con l’orecchio alla voragine, ti percuote un soffio sinistro di vento che sale dal profondo. Proviene forse dalla grotta di Tramonti. L’una a mille metri l’altra a duecento.
   Quella località si chiama Jermanito (iurmanito, iermanito).
   Ma la singolarità di questo paese, il cui stesso nome ti dà l’idea dell’altezza e del dirupo, sta nel fatto che, pur essendo privo quasi del tutto di terra, ciascuno è riuscito a crearsi un orto, un giardino, un podere. Con una costanza e una pazienza quasi eroica, quei contadini sono riusciti a racimolare il terreno, zolla per zolla, coi cesti, coi sacchi, col paniere, prendendolo là dove potevano trovarlo, e si son creata una proprietà. Un’opera durata per anni, per decenni, per secoli... in condizioni quasi più maligne di quelle della costiera amalfitana. I lavoratori delle più ingrate plaghe del mondo non hanno nulla da insegnare ai contadini di Trentinara, in fatto di tenacia e di laboriosità. Poi viene il fisco e te li tassa come possessori di terreni di 1° classe!
   Un’altra singolarità è questa: non credo che esista altro paese che abbia tante tabelle marmoree e tante epigrafi quante ne conta il piccolo paese di Trentinara (poco più di 1500 anime!). Ne trovi dappertutto, con incisioni di fatti e date memorabili, e con nomi di eroi e di patrioti: la maggior parte riferentisi allo scempio che fecero di Trentinara le truppe borboniche il 12 luglio del 1848 per punire i rivoltosi che s’erano ivi asserragliati dai vari paesi del Cilento per opporsi all’avanzata delle truppe regolari del Col. Recco, mandate dal Borbone quaggiù per domare la rivolta del Cilento.
   Bisogna aggiungere che quest’opera civica e patriottica si deve quasi esclusivamente all’iniziativa e al fervore del dr. Enrico Cavallo, che volle riempire in questo benemerito modo i suoi forzosi ozi di pensionato!
   È noto che da questi monti l’antica città di Pesto (Paestum) e naturalmente quella di Capaccio Vecchio, riceveva l’acqua per dissetarsi. Ancora oggi qualsiasi cittadino di Trentinara ti sa additare le sorgenti che convogliate refluivano nell’acquedotto maggiore. Esse si chiamano Capodacqua, Fontana secca, Vetuso, Forma, Ospitale. Qua e là per questi declivi montuosi, si osservano ancora i vestigi dell’antico acquedotto pestano. Del resto il primo nucleo di abitanti di questo paese fu proprio costituito dai soldati messi a guardia di queste sorgenti; ed ora è ben giusto che sia Trentinara a giovarsi per la maggior parte di queste sorgenti. Una sestina incisa sulla pietra della pubblica fontana, dovuta manco a dirlo al padre dello stesso Dr. Cavallo, ne ricorda concisamente la storia:

               Le translucide linfe cristalline
               ch’ora ti bean qui dai cari clivi,
               di Pesto un dì le rose porporine
               negli orti ameni rallegrò coi rivi.
               Molto di tempo nell’oblìo si giacque,
               a nuovo onore alfìn tra noi rinacque!

   Ma il vero vanto di questo paese è d’ordine patriottico. A Trentinara, come ho già ricordato, si svolse il sanguinoso epilogo della rivolta del Cilento del 1848: epilogo che si ebbe il 12 luglio, dopo appena qualche giorno dalla morte del capo ed animatore della rivolta stessa, Costabile Carducci da Capaccio, il quale venne ucciso ad Acquafredda il giorno 4 di quello stesso mese.

Fontana in Via Roma a Trentinara  dettaglio Fontana in Via Roma a Trentinara  Targa in bronzo moti 1848  Targa in marmo


   La polizia borbonica per gettare fango e discredito sui rivoltosi e giustificare così la ferocia con cui il re volle s’infierisse contro di loro, mise in circolazione la voce diffamatoria che si trattasse di una massa di « briganti », e che brigantesche fossero le loro intenzioni e le loro azioni. Ciò s’era anche verificato sin dai primi moti del ’20 e ’21; sicché quasi per tutto il secolo scorso sul Cilento pesò quella triste fama, che lo fece passare come « terra di briganti ». Tale era considerato infatti ancora fino ai primi decenni di questo secolo ed anche presso le persone per bene; tanto vero che lo stesso Mazziotti, il quale in un certo senso può considerarsi lo storico del Cilento per le opere da lui scritte, nel volume intitolato Costabile Carducci e i moti del Cilento poteva assai leggermente affermare, convalidando l’opinione comune, che i cilentani « insorgevano non per fede in una nuova idea ma per antico istinto di ribellione ad ogni governo »!
   Ma la storia successiva ha luminosamente provato che le varie rivolte del Cilento ebbero tutte un profondo contenuto ideale, sociale e patriottico, e che erano dovute tutte a un generoso sentimento di odio contro la tirannide e ad un anelito irresistibile di libertà, di unità, e d’indipendenza, che nelle varie fasi rivoluzionarie si veniva esprimendo in sollevazioni armate antiborboniche, precorrendo talora i tempi che andavano maturando.
   A quelle sollevazioni infatti partecipava il fior fiore dei cilentani, e in esse si vedevano affratellati, con lo stesso sentimento, popolani e «galantuomini», contadini e professionisti, braccianti e sacerdoti, magistrati ed ufficiali.
   La fase culminante della rivolta ebbe dunque il suo epilogo a Trentinara il 12 luglio 1848. Già sin dal giorno 5-6 luglio i rivoluzionari in numero di circa 2.500 avevano occupato i poggi di Ogliastro Cilento, al comando di De Angelis, Pavone, Vinciprova, Patella, ed altri, col proposito, come si è detto, di opporsi ai regi che al comando del Colonello Recco e forti, come poi si seppe, di un reggimento granatieri della G. R., uno squadrone di cavalleria, e una batteria di artiglieria, incrociava su due vapori tra le acque di Pesto (Paestum) e quelle di Sapri col presumibile intento di invadere il Cilento e spegnervi sul nascere la rivolta. Trentinara era guarnita di 200 rivoltosi, di cui più della metà erano del posto, al comando del Capitano Francesco Bosco.
   Il giorno 7 il colonnello sbarcò le sue truppe nella rada di Pesto (Paestum) ed occupò Capaccio, patria di Costabile Carducci. Il primo obiettivo non fu dunque né Ogliastro, né Vallo, né Castellabate, come si temeva, ma Capaccio e per esso Trentinara, dove per mezzo d’informatori il Recco aveva saputo esserci un concentramento di rivoltosi. Il comando di Trentinara quando ebbe la sensazione che il Recco si apprestava a dar l’assalto al paese, si affrettò a chiedere rinforzi al campo di Ogliastro per affrontare e sostenere vittoriosamente l’urto delle milizie borboniche. Giunsero infatti altri 200 armati la mattina del 12. Verso le ore due del pomeriggio il colonnello Recco mosse con le sue truppe verso Trentinara, dove giunse verso le ore quattro, viaggiando lui comodamente in carrozza! Disposte su tre colonne le truppe diede l’assalto al paese, che fu espugnato in meno di 2 ore. La resistenza fu accanita ed eroica. Ma la lotta era assolutamente impari. Sette morti perirono in combattimento, altri rimasero feriti più o meno gravemente, altri rimasero prigionieri, altri si ritirarono fuggendo giù per le balze della rupe Cantenna verso Giungano e verso Ogliastro, sparpagliandosi poi pei rispettivi paesi di origine.

Ed ecco l’albo d’oro dei caduti di Trentinara:

Giuseppe De Angelis  di   anni  29   da  Trentinara
Carlo Bodetti » » 40 » »
Marco Di Canto » » 27 » »
Giovanni Ciuccio » » 30 » »
Ferdinando Manna » » 25 » Capaccio
Andrea Paolino » » 85 » Trentinara
Israele Paolino » » 75 » »
Francesco Bosco » » 30 » »
Donato Paolino » » 23 » »

   Gli ultimi due furono trucidati dopo qualche giorno mentre si trovavano in stato di arresto.
   Ai fatti di Trentinara seguirono molti processi di persone accusate di aver partecipato al movimento prerivoluzionario del maggio e rivoluzionario del luglio 1848. Duemilaottantasette nominativi! Questi processi furono seguiti da non poche condanne a morte, tra cui ricorderemo quella di Angelo Cavallo di anni 32 pure di Trentinara, nonno paterno di Enrico Cavallo, il quale ultimo aveva ben ragione di rinfrescarne, con orgoglioso amore, il ricordo ed il sacrificio, nei suoi « Stralci del 1848 rivoluzionario Cilentano ».

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